venerdì 3 luglio 2009

“Neutralità del Counseling?”

di Paolo Bartolini tratto da www.aspicmarche.it

Il fabbisogno di counseling nell’attuale società complessa va di pari passo con la graduale usura dei legami sociali e con l’impoverimento dei valori condivisi a seguito delle dinamiche innescate dal processo di globalizzazione in atto.
Sono allora individui e gruppi, indistintamente, a necessitare degli strumenti del counseling per ridefinire i propri confini identitari e impostare strategie adattive efficaci e funzionali.

In quest’epoca, segnata dagli eccessi del consumismo, dalla deriva delle grandi ideologie, ma anche dal riemergere di un bisogno diffuso di relazione, la cultura del counseling ci appare quindi la più adatta a promuovere una vera e propria “ecologia dei rapporti interpersonali”.

Tuttavia, questa predisposizione “social oriented” del counseling non è recente, bensì affonda le sue radici nelle prime teorizzazioni della psicologia umanistica e della psicologia di comunità. E’così costitutiva dell’azione di counseling una particolare attenzione alle ricadute sociali dell’intervento realizzato.

Anche il concetto di empowerment appartiene a questo orizzonte di significati e si riferisce, infatti, alla progressiva acquisizione di capacità e competenze indispensabili per agire positivamente nel mondo, affermando il proprio diritto ad essere protagonisti del cambiamento. Non stupisce, allora, che il counseling concorra con il suo specifico contributo alla creazione di legami sociali fondati sul rispetto reciproco, sulla solidarietà e sul dialogo.

Nessuno può, quindi, parlare del counseling come di un approccio neutro, cioè privo di conseguenze sul piano delle scelte di vita individuali e collettive. Al contrario, è la natura stessa del processo di aiuto a rappresentare di per sé un’alternativa possibile – sul piano delle emozioni, delle cognizioni e dei comportamenti – all’odierna società dei consumi, dove il conflitto perenne, la competizione a tutti i costi e la corsa all’accumulo hanno tolto centralità ai valori dell’empatia, della mediazione e della cooperazione.

Ricordiamo infatti che un buon counselor, durante l’intero percorso di aiuto:
1) promuove nel cliente la presa di decisione responsabile rispetto ai propri obiettivi di vita e lo incita a misurare gli effetti delle proprie azioni sull’ambiente circostante;
2) permette all’interlocutore di esplorare le proprie risorse all’interno di una relazione protetta e affettivamente investita;
3) crea, praticando l’ascolto attivo, un vuoto fertile per far emergere emozioni e sensazioni corporee nel cliente e lo invita poi a riconoscerle come proprie.

Sono tre, dunque, i fattori promossi dall’azione di counseling in quanto tale:
- la Responsabilità;
- la Relazione;
- l’Ascolto/Contatto autentico.

Non è difficile, ora, riconoscere come questi concetti siano colpevolmente trascurati – se non avversati – dal sistema di potere oggi vigente.
La responsabilità individuale, tanto per iniziare, è radicalmente indebolita dalla iper-specializzazione dei processi produttivi e tecnologici (si pensi a come, per esempio, un normale lavoratore di una multinazionale ignori completamente le ricadute socio-ambientali del business deciso altrove dal management); la relazione sana e paritetica viene invece sostituita da rapporti manipolatori, che non nascondono ad uno sguardo più attento solitudini abissali e narcisismi patologici; per quanto riguarda il corpo, infine, si è già affermata la tendenza a stordirlo o anestetizzarlo (per i due casi esistono droghe e stimoli differenti) purché non si rischi mai di ascoltarlo nei suoi bisogni più profondi. Sarebbe infatti scomodo – aggiungiamo noi – per una società che si fonda sul controllo e sul consumo se le persone iniziassero a stare in contatto con il proprio corpo, godendosi il presente sempre diverso delle sensazioni invece che rincorrere instancabilmente il futuro di un nuovo acquisto.

Come si può notare, nel counseling riposano le premesse di un possibile cambiamento epocale, di un modus vivendi e operandi capace di rilanciare la centralità degli individui contro l’impersonalità della tecnica e del denaro. La sfida per i counselor sarà quella, allora, di prendere consapevolezza del loro ruolo trasformativo nella società, senza abdicare al compito etico e “politico” che il nostro tempo sembra affidargli.
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